(BIOGRAFIA NON AUTORIZZATA)
Esperanza
non è una città, non è un paese e neanche un villaggio. Esperanza non è un
borgo, non è una contrada e non è neanche una via. In realtà non è niente: solo
un nome beneaugurante buttato lì a caso sulla carta geografica dell’Antartide,
un puntino nero inghiottito da milioni di chilometri quadrati di ghiaccio,
proprio al confine con l’oceano, messo lì chissà da chi e chissà perché, forse
tanto per riempire un vuoto. A Esperanza non ci sono semafori, non ci sono pali
del telefono e non ci sono fermate del tram. Non ci sono campi da calcio, non
ci sono parchimetri, non ci sono centri commerciali. A pensarci bene, non
essendoci niente di tutto ciò, non ci sono neanche le strade. A Esperanza,
questo sì, si potrebbero fare tante piste da pattinaggio, perché il ghiaccio
non manca di certo, ovunque si guardi: a sud, a nord, a est, a ovest, a perdita
d’occhio, persino il cielo sembra una immensa lastra grigia e gelida con un
sole piccolo e rattrappito che fa del suo meglio lì nel mezzo. Ma,
curiosamente, nessuno ci ha mai pensato.
Be’,
a essere precisi, in mezzo a quel niente desolante stritolato dalla morsa del
freddo, una cosa c’è: un distributore automatico di biglietti per la
Broken Ice Airlines. E se ci fate caso, quel solco accidentato che si allunga
dritto verso la costa frastagliata, il precipizio e l’oceano, forse, ma dico
forse, è una pista d’atterraggio per aerei…
Sul
distributore automatico c’è un cartello scritto a mano attaccato con lo scotch.
Il cartello è scolorito e quasi illeggibile, ma anche se fosse stato in buone
condizioni avreste dovuto conoscere il tamaghust, un antichissimo idioma del
posto, non più parlato da anima viva visto che l’ultimo discendente dei
tamaghustiani (l’autore, tra l’altro, del cartello) è venuto a mancare nel
1983. Sul cartello c’è scritto:పం«పి אָణీద ఈఊరు వ¶స్సు! ఇక్కడ మcª౪{∙ణించడ‡నికి కాదͽ҉╚▼☺☼ దΔ₪వున ప్రార్Ω, che più o meno vuol dire “Quest’affare è guasto!
Pregate di non morire qui”
Il
distributore automatico, insomma, non funziona già da un bel po’ ma, per ovvie
ragioni, sono in pochi a lamentarsene. Uno di questi, però e guarda caso, è
Colorado Jollins, stimato professore di biciclettologia nel quotidiano e
incallito avventuriero del pedale a tempo perso. Eccolo là, lo vedete? No,
no, quello con lo smoking è un pinguino incuriosito dall’inconsueto
trambusto. Colorado Jollins è l’altro, quello con una giacca di cuoio FBB sopra
alla camicia bianca col giglio di Firenze bianco in campo nero, consunti
stivali Shimano ai piedi e il cappello/ casco a tesa larga ben calcato sulla
testa e allacciato sotto il collo. Quello con la bicicletta da corsa Wilier e
la sacca per la sopravvivenza attaccata sotto al sellino, insomma. Sì, quello
che impreca in tutte le lingue conosciute e in almeno 28 dialetti (fuorché,
ahilui, il tamaghust) mentre prende a calci il distributore. Lui.
L’avventuriero.
Colorado
Jollins.
Il
mito.
Aveva
appena completato il giro dell’Antartide in 5 tappe di 860 km l’una, era
stanco, un po’ infreddolito e non vedeva l’ora di tornarsene a casa per
riscaldarsi un po’ col clima arido e desertico della sua Denver (Colorado,
naturalmente, USA), 40 gradi all’ombra in inverno. Non aveva trovato il Ciclosauro,
la vera ragione della spedizione, quello no, ma aveva fatto amicizia con
tantissime foche, aveva pedalato in mezzo agli orsi bianchi, aveva fatto il
bagno con le balene e avvistato persino uno pterodattilo. Per cui, in fondo,
era soddisfatto dell’esperienza.
Colorado
Jollins stava seduto su uno spunzone di roccia nell’atto di staccarsi dal naso
le stalattiti di ghiaccio quando accadde la cosa più inaspettata che possa
succedere a Esperanza: incontrare un altro essere umano.
“Jollins?”
Chiese un tipo alto il cui volto era nascosto da occhiali scuri, da un cappello
nero e dal bavero rialzato di un lungo cappotto, nero anch’esso. Gli si vedeva
solo il naso.
“Sì?”
“Il dottor Mark
Jollins?”
“Preferisco Colorado Jollins.
Sa, gli sponsor…”
Il
tipo tutto nero fu molto vago nel presentarsi ma fu assai lesto a tirare fuori
dalla tasca del cappotto un tomo di 1800 pagine. Senza perdere tempo, iniziò a
illustrare a Colorado la magnificenza dei prodotti illustrati: un telaio in
titanio con macchinetta del caffè incorporata nella canna; un sacco a pelo
termoelettrico per pipistrelli (che non è esattamente utile a un ciclista ma
era in offerta a soli 699 euro e 99, quindi poteva valere la pena pensarci un
po’ su); l’ombrescio, ‘l’ombrello all’arrovescio’ per raccogliere l’acqua
piovana (‘ecologia allo stato puro per il cittadino del futuro’, recitava lo
slogan, e in più volete mettere il piacere di girare per le strade sotto un
temporale con una damigiana piena d’acqua sotto braccio o sulle spalle?);
scarpe con lettore cd Samsung inserito nel tacco comprensivo di un lungo
auricolare che, per un corretto funzionamento, andrebbe arrotolato come edera
selvatica su per il polpaccio, la gamba, il tronco del corpo, il collo e infine
appuntato al lobo dell’orecchio con la graffettatrice (pare che la ditta
produttrice sia già fallita, peccato); quindi, dite udite, per i più pigri, ma
pigri davvero, la fantastica forchetta a pila che avvolge da sola gli
spaghetti; e ancora…
Dopo
6 ore e 24 minuti, con un tonfo così forte da risvegliare Colorado dal torpore
in cui era caduto, il misterioso personaggio richiuse di scatto il catalogo e
chiese a bruciapelo: “Bando alle ciance, dottor Jollins! Cosa sa della
Bicicletta d’Oro dell’Invincibilità?”
Il
dottor Jollins, improvvisamente sveglio e interessato all’argomento, si
dimenticò delle stalattiti e sgranò gli occhi: “La bicicletta d’Oro
dell’Invincibilità? Si dice essere appartenuta a Elpidio il Grande, re dei
Goti, vissuto nel V secolo a.c. Si dice renda invincibile chiunque ci si sieda
sopra. Ma, ovviamente, è una leggenda”
“Ne
è sicuro?”
Il
misterioso individuo riuscì a calamitare la totale attenzione di Colorado
Jollins: “Cosa intende dire, signor…? Non ho capito come si chiama…”
“Non
è importante. Dottor Jollins, la bicicletta dell’invincibilità esiste e
l’umanità è in grave pericolo. Io voglio che lei la trovi e la metta al sicuro
consegnandola a me”
“Ah.
E quanto mi paga?”
“Ehmmm…
eh? Oh, guardi là! Un rarissimo elephantus volantem, volgarmente detto Dumbo!”
“Dove?”
“No,
ha girato di là, peccato”
“Che
stavo dicendo? Ah sì, ho chiesto quanto mi…”
“…
Dottor Jollins, conosce Janadolf Ullrichler?”
Colorado
strinse il pugno e ringhiò: “Janadolf Ullrichler… il mio acerrimo rivale…
ciclista disonesto, avventuriero senza scrupoli… Ma non ho capito quanto mi p…”
“E
se le dicessi che Janadolf Ullrichler e la sua Deutche SS Telefunken zu Pedalen
sono entrati in possesso di una mappa con l’ubicazione esatta della Bicicletta
d’Oro dell’Invincibilità? E se le dicessi che il loro intento è trovarla, possederla
e DOMINARE il Campionato FBB? Eh? Ehhh?! Se le dicessi tutto questo?!”
Colorado
Jollins guardò verso l’orizzonte e lasciò che il gelido vento tentasse invano
di portargli via il cappello/ casco. Serrò la mascella tanto da digrignare i
denti e i suoi occhi divennero due strette fessure zampillanti lapilli
incandescenti. Infine, sentenziò: “Dico che non possiamo permetterlo!” E nella
sua testa, ma solo nella sua testa, se volete sentirla anche voi dovete
cliccare qui, partì la colonna sonora.
“Quando
pa…” …rtiamo? La domanda gli rimase impigliata nella gola
quando si accorse di essere rimasto solo. Il misterioso interlocutore era
sparito. Letteralmente volatilizzato.
Così
a Colorado Jollins rimase una sola cosa da fare: aspettare con pazienza per 16
giorni il primo volo della Broken Ice Airlines augurandosi al contempo che ci
fosse la possibilità di fare il biglietto a bordo.
Purtroppo
a Esperanza non ci sono molte attrazioni e può capitare di annoiarsi un po’.
Per fortuna il tipo aveva lasciato lì il suo catalogo di 1800 pagine…
CAPITOLO 2
Colorado
Jollins, in sella alla sua fedele Wilier, e Janadolf Ullrichler, a bordo di un
carro armato a pedali così potente da far tremare le montagne e crollare i
cornicioni dei palazzi (attorniato inoltre da uno stuolo di gregari su
biciclette a motore BMW), si affrontarono a viso aperto senza esclusione di
colpi. Colorado Jollins, tanto per dirne una, travestitosi da gregario della
Deutche SS Telefunken zu Pedalen, approfittò di un momento di relax di Janadolf
(un bagnetto nel Rio delle Amazzoni, in barba a piranhas e coccodrilli) per
eludere la sorveglianza armata ed entrare in possesso della mappa. Non fece in
tempo, però, a studiarla. Quella notte stessa, infatti, il suo rivale,
parcheggiato per sicurezza il carro armato a 100 km di distanza, penetrò di
soppiatto nell’accampamento sull’Hymalaya e zitto zitto, quatto quatto, mentre
Colorado dormiva il pesante e meritato sonno dei giusti, gli rese pan per
focaccia. Colorado Jollins comunque non si arrese di certo: mentre Janadolf
scrutava l’orizzonte dalla cima della Torre Eiffel per decidere la direzione da
seguire, pensò bene di sorprenderlo dal cielo strappandogli al volo di mano la
mappa a bordo di un eliciclo costruito in fretta e furia quel mattino, fondendo
la Wilier con foglie e legname e pezzi di fortuna trovati in giro, il tutto
seguendo passo per passo le istruzioni del Codice Atlantico (che Colorado,
naturalmente, è solito portare sempre con sé, come gli scout portano appresso
il Manuale delle Giovani Marmotte; per ogni evenienza, insomma).
Dopo
29 giorni di scorribande, irruzioni, sotterfugi, incursioni, blitz, scherzi e
scherni vari, i due capirono che così non si arrivava da nessuna parte e che
forse era meglio unire le forze (almeno per un po’).
La
mappa era dettagliatissima... Infatti, sopra un foglio di carta
patinata tutto stropicciato c’era una grande ← che indicava una minuscola x proprio
all’intersezione di due strade senza nome. Sopra la x inoltre
c’era scritto Azzaip e subito sotto Biciclum
Aureo Invincibilitarum hic est.
Ma la cosa che più di tutte lasciò perplessi i due rivali fu un misterioso
numero in basso a destra.
“47…
Uhmmm…”
“Nella
spiritualità pre- ittita è il momento culminante di fertilità delle mucche
bianche a macchie marroni” Suggerì Janadolph Ullrichler.
“E
a noi che ci frega delle mucche bianche a macchie marroni, scusa?!” Ribatté
Colorado Jollins, un po’ spazientito. “Piuttosto, secondo i calcoli Maya,
47=[(3:⅞♂)+(5Ѯᵖ˙²-2,3♫)]X2╪ₓ ͤ ͜ ᵷ-1
con l’approssimazione
di tre granelli di sabbia, per cui…”
Elucubrarono
teorie per tre giorni senza venire a capo di niente, quindi, non avendo indizi
concreti, si spostarono un po’ a caso di qua e di là, ognuno pedalando sul
rispettivo mezzo: Pamplona… Kilmarnock… Guadalajara… Albuquerque… 札幌… 上海… اسلام اباد… Москва́… Durante
il loro pellegrinare il mondo fu scosso da un lunghissimo sciame sismico e
tutti i più imminenti studiosi si riunirono urgentemente intorno ad una tavola
rotonda per studiare il fenomeno.
“E’
colpa del collasso termico- geo- tettonico…” Disse uno.
“No,
è la magnitudo pseudo- orizzontale del Polo Sud che si sta invertendo…”
Intervenne un altro.
“Macché,
è la iso- placca- termo- sanitaria che sta collassando…” Si intromise un terzo.
“Ma
quale iso- placca, suvvia, è ovvio trattarsi di un segnale alieno…” Disse
Roberto Giacobbo ai microfoni di Voyager.
“它是在高血壓的洋殼…”
“I’
che gl’ha detto, questo?”
“boh…”
Il
Presidente degli Stati Uniti fu sul punto di annunciare in diretta televisiva
la fine del mondo quando si scoprì la causa scatenante.
“L’è
Urrike co’ i’ su’ coso…”
“Ma
te guarda…”
“…
‘sto grullerello che spavento ci…”
“Bisognerebbe
riempirlo di sculaccioni, bisognerebbe…”
“馬鱸魚內, 斯薩索!”
“I’
che gl’ha detto, questo?”
“Boh”
A
Poznan, in Polonia, Colorado Jollins pensò bene di entrare nella biblioteca
nazionale e lì, grazie ad antichi nonché polverosi nonché fragili nonché
pesantissimi nonché abbandonati testi scritti a mano chissà da chi e chissà
quando e salvati giusto appunto per un pelo dal macero perché negli ultimi
1.996 anni a nessuno era mai venuta voglia di consultarli neanche per sbaglio,
ma soprattutto grazie a quel prodigio che comunemente chiamiamo internet,
scoprì cose molto interessanti.
“Azzaip altro non è che…” Rimuginò.
“Zì?”
“Elpidio
il Grande fu…”
“Zììì?!”
Ullrichler non stava più nella pelle.
“So
dove dobbiamo andare!” Esclamò Colorado Jollins e nella sua testa, ma solo
nella sua testa, se volete sentirla anche voi dovete cliccare qui, partì la colonna sonora. Ah no, ho sbagliato, questa
la sto ascoltando io, per la colonna sonora dovete cliccare qui.
Colorado
si fiondò sulla Wilier e Janadolf lo seguì.
Anticamente,
Azzaip fu un microscopico regno (così microscopico, 32 mq circa, che oggi molti
storici mettono in dubbio che lo sia stato per davvero, un regno) governato da
un modesto re ossessionato da manie di grandezza, tale Elpidio il Grande. Oggi
(come allora) altro non è che un bosco con tre case e due strade semisterrate e
deserte messe a croce per un totale di 9 o 10 abitanti, dipende se vogliamo
considerare o meno un cane randagio che gironzola stabilmente da quelle parti.
Nel corso dei millenni Azzaip cambiò nome molte volte, da Forum a Piazzam, fino
ad arrivare all’attuale denominazione: Piazza.
Appena
arrivati, Colorato e Janadolf trovarono subito la prima traccia tangibile di
quel che cercavano. All’ingresso del paese, infatti, una grande, enorme,
coloratissima freccia luminosa al neon stile Las Vegas informava: BENVENUTI A
PIAZZA- PER LA BICICLETTA D’ORO DELL’INVINCIBILITA DA QUESTA PARTE’. Seguirono
la freccia e trovarono la X.
“Vi
stavo aspettando” Disse un uomo con una fascia tricolore sopra la giacca. Era
un diretto discendente di Elpidio il Grande e tra le mani stringeva un libro
verde. Si presentò come Massimo Elpidio Major Elpidi, sovr… ehm… sindaco
supremo di Piazza, Custode Unico del Biciclo Aureo Invincibilitarum, campione
incontrastato di ciclismo da molti decenni.
“La
Bizicletta dell’Invinzibilità…” Chiese Janadolf Ullrichler con bramosia, “… è
kvi?”
“Oh
no, non è qui” Rispose il sindaco. “La Bicicletta va conquistata… Ci sono tre
prove da superare…”
“Tre
prove?” Ripeté Colorado. “Quali?”
“Sono
descritte qui” Disse il sindaco porgendo loro il libro verde.
“Una…
una guida del Touring Club?!” Esclamò Colorado. Sfogliò velocemente le pagine e
fu chiaro dove Janadolph Ullrichler avesse trovato la mappa. Ce n’era una
uguale a pag. 47, solo un po’ meno stropicciata.
“Tu…”
Disse rivolgendosi al collega. “Tu hai strappato questa mappa da una guida
turistica del Touring Club?”
L’altro
si strinse nelle spalle, un po’ imbarazzato. “Ich… ekko… c’era una kosì bella
lipreria sul viale Talenten… zì, lì vizino all’Iliopezca, dove si ritrovano
kvei ziclizten veztiti de nero, ja… mi zono fermato per… inzomma… mi semprava
troppo fazile!”
“Il
Sospiro del Ciclista” Mormorò Colorado Jollins leggendo la guida del Touring. “Solo
il ciclistameritevole arriva in cima”
“Dovrete
scalare il Monte Avvitato” Disse Massimo Elpidio ecc., indicando una direzione:
“Quello”
“Ah,
il Panzano” Sospirò Colorado Jollins. Chissà perché si era aspettato qualcosa
di un tantino più impegnativo. “Una salitella”
“Be’,
noi lo chiamiamo Monte Avvitato”
“Tutto
kva?! Kvella Kollinetten? Fazile, ja!”
“Già”
Disse Massimo Elpidio Major Elpidi. E sghignazzò senza ritegno.
(“下週美麗繼續, ħ進入昨天!”
“E
adesso i’ che gli avrà detto?!”
“Questo
l’ho capito: ‘fine della seconda parte, continua la prossima settimana!”)
CAPITOLO 3
Colorado
Jollins, ebbene sì, acquistò qualcosina dal catalogo del misterioso tipo.
Per esempio, la SemprePiena, la borraccia di ultima generazione. Gli tornò
utile perché erano ormai 9 ore che pedalava sotto il sole feroce di luglio e se
non l’avesse avuta con sé sarebbe di certo morto di sete. La SemprePiena era
una borraccia che, tramite un lunghissimo tubo di gomma, era collegata ad
un generatore a pressione di soluzione liquida integrata da istallare a casa.
Si poteva avere alla modica cifra di 8.000 euro IVA esclusa + le spese di
spedizione e il montaggio (la borraccia, di per sé, costava poco, appena 1
euro, erano il generatore e i chilometri di tubo a costicchiare un po’).
L’unica noia era che a volte il tubo si impigliava nei rami di un albero o intorno
ai pali della luce…
Colorado
Jollins e Janadolph Ullrichler si resero conto che arrivare in cima al Panzano
non sarebbe stato facile come credevano. La Montagna Avvitata si chiamava così
per una ragione tanto semplice quanto inimmaginabile: una leva segreta (della
quale re e sindaci di Piazza si tramandano l’esistenza da millenni) metteva in
funzione un meccanismo antichissimo che la faceva ruotare su se stessa in senso
contrario a quello di marcia. Per cui, da un certo punto in poi, avanzare non solo
era molto difficile ma addirittura impossibile, dal momento che la velocità di
rotazione aumentava sensibilmente e inesorabilmente ogni 3 minuti. Nel caso in
cui fossero scivolati giù giù giù fino al punto di partenza… bè, quella bocca
pneumatica appostata lì, dotata di lunghi denti metallici che si chiudevano di
schianto sull’asfalto, sbriciolandolo, avrebbe decretato il game over.
Colorado
Jollins non si scoraggiò. “Il sospiro del ciclista… il… sospiro… del ciclista…
quando un ciclista sospira?” Continuava a ripetersi, pedalando vorticosamente,
sudando come non mai ma reintegrando tutto grazie alla SemprePiena. Poi, quando
ormai i denti erano a pochi centimetri dal fondello dei suoi calzoni, capì.
Tirò fuori dal sacco sotto al sellino il secondo acquisto fatto dal catalogo,
lo impugnò, lo fece schioccare un paio di volte e lo usò come meglio non
avrebbe potuto e come mai avrebbe immaginato. (A sto punto scattò la colonna sonora, ma la sentiva solo Colorado nella sua testa, se
volete sentirla anche voi ormai sapete come fare). La frusta sibilò nell’aria
e si annodò intorno al tronco di un albero. Colorado strattonò con tutta
la forza che aveva, si alzò sui pedali e si lanciò su per la salita trascinandosi
dietro Janadolf (il quale fece appena in tempo ad acchiappare il collega per il
colletto della camicia) con annesso il carro armato a pedali. Dei gregari della
Deutche SS Telefunken zu Pedalen… bè, in seguito qualcuno li cercò per un po’,
ma ormai oggi tutti temono il peggio.
“Quando…
uff… un ciclista… pant… sospira? Quando arriva in cima alla montagna!” Esclamò
Colorado producendosi nello sforzo decisivo, sospirando di soddisfazione e
arrivando in vetta a braccia alzate.
“Ben
fatto!” Esclamò Massimo Elpidio nei pressi di un albero. Senza dare troppo
nell’occhio abbassò un finto ramo e, con un forte rumore di ingranaggi
arrugginiti, il movimento rotante della montagna all’improvviso si arrestò.
“Siete pronti per la seconda prova?”
“Il
Nome del Ciclista…”
“Esatto!
Allegria!”
“Per
passare questa prova dovete rispondere ad una semplicissima domanda!” Esclamò
Massimo Elpidio Major Elpidi sfoggiando un enorme e smagliante sorriso a 32
denti. “Allegria! Ricordate, però, che se sbagliate, quella mattonella su cui
vi trovate si spalancherà e precipiterete dritti all’inferno! Pronti?”
Colorado
e Janadolph Ullrichler si scambiarono un’occhiata d’intesa: di ciclismo ne
sapevano abbastanza, avevano ottime chance di farcela.
“Fate
bene attenzione. 21 maggio 1934, 3a tappa del giro del Punjab, Jalandhar-
Patiala, 756 km, vince allo sprint Otina, che aveva la caratteristica di fumare
sigarette mentre pedalava… Mi dovete dire, lettera per lettera, il suo nome di
battesimo all’anagrafe!”
“Zì,
mi zempra di afere zentito parlare di lui… Mhmm… o forze nein… Zuoi amiken lo
kiamafano Nick, ma kvesto era solo ein diminutiven… Zuo fero nomen ezzere
Nicola… Quindi: N… I…?”
“No!”
Intervenne Colorado, giusto in tempo per impedire alla mattonella di aprirsi
sull’abisso. “Zua mutter… cioè sua madre… era polacca!”
“’Azz!
Ezzere fero! Zuo nomen alla anagraphen, ja!”
“N…
Y… C… mmmmhmmmfff!...” Stavolta fu Janadolf ad intervenire tempestivamente
tappando la bocca al collega. La mattonella tremò vigorosamente ma non si
spalancò.
“Achtung!”
Sibilò al suo orecchio. “Tu non dimentikare zuo pappo!”
“Chi?!”
“Zuo pappo!”
“Ah,
i’ su’ babbo”
“Ja!
Lui era…”
“…
toscano, giusto! Quindi: N… Y… H… O… L… A! Nyhola! Nick Otina!”
“Mhm,
ok” Ammise Massimo Elpidio, con una piccola nota di disappunto nella voce.
Infatti, pensò:nessuno da oltre 700 anni è riuscito a superare le prime due
prove. “Bravini… Sì, davvero, niente male…”
“E
adezzo? Koza aspettare a noi?”
“Il
sentiero del ciclista…” Mormorò Colorado Jollins. “Solo lanciandosi senza
freni giù per il sentiero egli dimostrerà di essere degno della Bicicletta…”
“Eeesatto!!!
La terza prova” Sentenziò Massimo Elpidio riprendendo vigore.
“E
kvale ezzere sentieren?”
“Ma
questo, naturalmente!”
Colorado
Jollins e Janadolf Ullrichler si sporsero sul ciglio del burrone e guardarono
giù. Il problema non era tanto la pendenza dell’86%, o il fatto che il sentiero
neanche si vedesse, né tantomeno i massicci tronchi degli alberi o le rocce
aguzze che spuntavano minacciose come denti dalla vegetazione, o il dover
affrontare il tutto senza freni (Massimo Elpidio si era già premurato di
sistemare Wilier e carro armato a pedali)… No, il problema erano…
“…
Le trappole!” Esclamò Massimo Elpidio.
“Koza
fazziamo?” Chiese Janadolf. “Torniamo indie…?”
Colorado
non poteva tornare indietro per una semplice ragione (sì, sì, certo,
sostanzialmente perché lui era l’eroe di questa storia e gli eroi non si
arrendono mai, certo, certo, questo è ovvio, ma c’era un’altra cosa…): quando
nella sua testa parte la musica niente per lui è impossibile!
“Yyuhuuuuuuuuuuuuuuuuuu!”
Così,
mentre l’urlo si affievoliva sempre di più, a Janadolf non rimase altro da fare
che lanciarsi a sua volta giù per il precipizio.
Colorado
Jollins evitò agilmente alberi e scansò lesto rocce acuminate come coltelli ma
suo malgrado fece anche scattare malefiche trappole nascoste. Per un lungo
tratto venne rincorso da un enorme masso staccatosi dalla collina (riuscì ad
evitare di essere schiacciato aggrappandosi all’ultimo momento al robusto ramo
di un albero e compiendo una spettacolare girandola di 360°), quindi ad un
certo punto schivò con grande prontezza di riflessi una pioggia di frecce
infuocate, e ancora con un gran balzo saltò un burrone sul cui fondo erano
piantate aguzze lance arrugginite (ne approfittò per fare un po’ di free
styling, così, giusto per i fan), arrivò in fondo alla valle a tale velocità
che risalì il versante opposto quasi senza bisogno di pedalare, continuò a
scansare rocce, alberi, buche, ghepardi, orsi, sabbie mobili, si districò in
mezzo ad una antichissima tribù di aborigeni con le loro cerbottane avvelenate,
sopravvisse all’attacco di uno stormo di enormi pipistrelli/ vampiri affamati,
finché…
(Janadolf
Ullrichler, da par suo, sostanzialmente trovò gran parte delle trappole
disinnescate, ma ebbe qualche difficoltà a manovrare il carro armato a pedali
lungo la sinuosità dello strettissimo sentiero. Per un po’ se la cavò
asfaltando alberi, cespugli e rovi ma arrivato in fondo alla conca alla
velocità di 681 km/h non riuscì ad evitare quella dannata roccia messa lì a mo
di parabolica: il carro armato spiccò il volo verso il cielo, roteò più volte
su se stesso in orizzontale e in verticale, quindi si perse tra le nuvole)
…
si lasciò alle spalle l’ultimo albero, la salita finì all’improvviso e la
bicicletta si impennò, sorvolò le sparute abitazioni di Piazza, sfondò una
finestra e atterrò nel soggiorno di una casa. E GRANDE fu
la sorpresa di Colorado nel vedere, protetta da una teca, la Bicicletta d’Oro
dell’Invincibilità!
“Vi
stav… Ah sei solo tu… TI stavo aspettando” Massimo Elpidio ancora una volta era
già lì, in piedi accanto alla teca.
“La
Bicicletta…” Mormorò Colorado, e per l’emozione gli fischiarono le orecchie.
No, non era un fischio. Non esattamente. Era… “Lo senti anche tu?”
“Cosa?
No, io non sento niente”
“Sembra…”
“Bando
alle ciance. La Bicicletta è tua…”
“…
come un…”
“…
sempre che tu riesca ad aprire la teca, naturalmente. E’ composta da una
antichissima lega speciale super infrangibile a prova di…”
“…
lamento!”
“…
no, che a prova di lamento! A prova di tutto! Pensa, potrebbe romperla solo
un…”
“Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!”
La
bomba esplose, il boato fu assordante e il mondo sembrò essere arrivato al
capolinea. Il soffitto crollò, i muri della casa implosero e su tutta Piazza
piovvero polvere e calcinacci per un buon quarto d’ora. Solo che non era una
bomba quella che scoppiò. Quando finalmente qualche timido raggio di sole
riuscì a filtrare attraverso quella piccola apocalisse fu chiaro l’accaduto.
“…
solo un carro armato a pedali in caduta libera dalla stratosfera” Concluse
Massimo Elpidio Mayor Elpidi, subito prima di sedersi su un rudere, prendersi
la testa tra le mani e mettersi a piangere.
Janadolf
Ullrichler se ne stava lì, nel suo carro armato, un po’ intontito ma incolume.
La teca era distrutta ma la Bicicletta era miracolosamente scampata al
disastro. Quando se ne accorse, saltò giù ed esclamò: “La Bizikletta è nostren!
Kolorado, ze l’abbiamo fatten! E’ nostren!” E la inforcò.
“Sì”
Confermò Massimo Elpidio tra un singhiozzo e l’altro. “E’ vostra… ma,
ricordate, usatela con molto giudizio”
“E’
nostra, Kolorado! Pozziam… Ehmm, pozzo vinzere l’FBB
Championship!” E cominciò a pedalare tutt’intorno, zigzagando tra alberi e
macerie.
Ad
un certo punto la terra fu scossa da un fremito. All’inizio solo un pigro
sbadiglio ma presto una piccola crepa divise a metà Piazza.
“Elpidio
il Grande fu un modesto re goto…” Rimuginò Colorado.
“…
ossessionato da manie di grandezza…” Proseguì Massimo Elpidio.
“…
nonostante i suoi sforzi, ma soprattutto a causa della sua incapacità
dittatorio- imprenditoriale,Azzaip non progredì mai e…”
“…
rimase un piccolo regno di 32 mq, per secoli e secoli, fino ad oggi…”
“…
per questo Khftryhjn, dio nordico e misericordioso, mosso a compassione…”
“…
regalò al re la Bicicletta d’oro dell’Invincibilità…”
“…
affinché potesse, almeno, dominare su una cosa:…”
“…
il campionato locale di ciclismo…”
“…
Elpidio il Grande vinse il campionato per 58 anni consecutivi e…”
“…
così anche tutti i suoi discendenti, ma…”
“…Khftryhjn
mise una condizione…”
“…
una sola condizione…”
“Ullrichler!”
Urlò Colorado sperando che non fosse troppo tardi. “Fermo!!!”
Stavolta
la terra tremò con violenza inaudita e la crepa divenne una enorme bocca
famelica che inghiottì il carro armato a pedali in un sol boccone. Ullrichler
perse l’equilibrio e cadde dalla Bicicletta, ma si salvò acchiappando un sasso
sporgente e rimase penzoloni nel vuoto. La Bicicletta scivolò nel dirupo
impigliandosi nelle radici di un albero un paio di metri più in basso.
Colorado
Jollins si sdraiò sulla nuda terra e prese una mano del rivale. Cercò di tirarlo
su ma questi oppose resistenza.
“Lascia
stare la Bicicletta!” Urlò Colorado.
“Il
kampionato FBB sarà mi… nostren, Kolorado!”
“Non
capisci: la Bicicletta è invincibile solo all’interno dei 32
mq di Piazza! Non può uscire dai suoi confini! Crolla tutto!”
“La
pozzo prenderen! Ci zono kvasi!”
“Ma
ci sei o ci fai?! Elpido ha vinto solo il campionato locale! Nient’altro!”
“Ankora
un pokettinen…”
“Non
riesco a reggerti!”
Nel
momento in cui Ullrichler toccò con un dito il manubrio della Bicicletta, la
situazione degenerò definitivamente: la terra si sconquassò di nuovo con
violenza, Colorado perse la presa e Janadolf venne inghiottito dalla voragine
insieme all’oggetto del suo desiderio. Il tutto, durò solo un paio di secondi,
dopodiché la bocca si richiuse e tutto parve tornare normale.
“La
Bicicletta…” Mormorò Massimo Elpidio e una lacrimuccia rigò la sua guancia.
“Mi
dispiace” Convenne Colorado.
“Ma
forse è meglio così. Che cosa ci insegna questa storia?” Chiese Massimo Elpidio
nella speranza di consolarsi con una perla di saggezza.
Colorado
ci pensò su un attimo, poi si strinse nelle spalle. “E che ne so”
Detto
questo si calcò il cappello/ casco sulla testa, inforcò la sua Wilier, salutò
Massimo Elpidio Mayor Elpidi, aspettò 9 minuti che nella sua testa partisse
la colonna
sonora (senza non andrebbe da nessuna
parte) e, benedetto dai tenui raggi del tramonto chiantigiano, pedalò incontro
alla sua prossima avventura.
Fine?
Un
attimo, ci sono ancora un paio di cosette.
Come
ci insegna il cinema, i cattivi non muoiono (quasi) mai per cui, statene certi,
sentiremo ancora parlare di Janadolf Ullrichler. Probabilmente a quest’ora sarà
sbucato in Cina o in Bangladesh e starà escogitando altri modi per mettere le
mani sul campionato FBB. Ne sono sicuro, tornerà più agguerrito di prima.
Il
misterioso personaggio vestito di nero seguì con interesse tutta la vicenda
tenendosi sempre a debita distanza. Ci rimase un po’ male quando la Bicicletta
d’Oro dell’Invincibilità andò perduta, ma tant’è, se ne fece presto una
ragione. Certo, gli sarebbe piaciuto da morire aggiungerla alla sua collezione
di cimeli mitologici accanto alla borraccia di Pandora (in pochi sanno che non
era un vaso, ma questa storia forse la racconteremo un’altra volta) o la pompa
nella roccia di Re Artù (si vede solo il manico e chissà perché tutti pensano
che sia una spada…) nel famoso e a sua volta mitologico FBB Museum, nelle
segrete più segrete di via San Zanobi, proprio accanto alla FBB Junior School,
la rinomata scuola dove vengono fatti crescere i giovani talenti e di cui
abbiamo già accennato in un'altra storia. Ma andava bene così. Per
adesso.
Fine?
Stavolta
è davvero tutto, sì.
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